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mercoledì 26 ottobre 2011

La Grande fuga

Vi ricordate di Barabba? Ha promosso un'altra iniziativa delle sue: Occupy Barabba. Sostanzialmente fino a venerdì pomeriggio raccoglie racconti dei barabbisti e li pubblica sul blog. E' perché noi barabbisti abbiamo bisogno di essere stimolati se no ci assopiamo, ma quando chiama il Many. Hop. Rispondiamo prontissimi.
Riporto il mio. Ma andateveli a leggere tutti. Sono stupendi.


LA GRANDE FUGA

E se ti dicessi che da grande vorrei essere come te? 
E se ti dicessi che i tuoi racconti della terra estera sono una boccata d'aria fresca e di speranza in questo paese del cazzo?
E se mi nascondessi nella tua valigia e mi imbarcassi con te?
E se ti dicessi che vorrei tanto specchiarmi un altro po' nei tuoi profondi occhi inespressivi? Solo un pochino, un altro pochino.
E se ti dicessi che “non voglio addormentarmi 'che poi viene il mattino" ?
Ma il mattino arriva lo stesso. Al posto dei tuoi occhi lo specchio. Prima la laurea non posso ancora partire. La speranza deve nascere da dentro. E... sì, nonostante tutto, continuo a voler essere come te da grande.
E poi tu voli via.
E io fingo che “a me tutto questo schifo non interessa. Tanto me ne andrò da questo paese del cazzo". Invece resto qui ancora un giorno, un altro, un altro ancora. 
Ma io preparo la grande fuga, che vi credete voi?
E' solo che c'è sempre qualcos'altro da mettere in valigia, qualcosa di importante da imparare prima, qualcosa senza la quale non sarò mai pronta per partire.
E' solo che sono di quei preparativi che non finiranno mai.

Io credo e spero in un finale diverso per me stessa. Ma insomma, difficile è difficile. Inutile negarlo.

martedì 25 ottobre 2011

Probabilmente no.


Probabilmente non riuscirai mai a renderti conto del regalo immenso che mi hai fatto stanotte raccontandoti così.

domenica 23 ottobre 2011

Il segreto




Il segreto per riuscire è la concentrazione, il focus.
Focalizzarsi su un obiettivo e portarlo avanti fino in fondo.

E fin qui non sembra difficile, giusto? Sbagliato.
La fase del focus è tra le più complesse. Per voi non so, per me di sicuro, perché io sono una persona eclettica.
E il problema quando si è eclettici è uno solo, un solo gigantesco problema: si salta di palo in frasca come le cavallette. Così facendo, le energie vengono spese in un sacco di attività diverse e non si riesce a concentrarsi su nulla di preciso. Si è in grado di fare tutto, ma niente in maniera eccellente.

E -lasciate che ve lo dica - è una vera merda.


lunedì 17 ottobre 2011

In and Out

Pare che i blog personali non vadano più di moda.



Ricordo quando cominciai, nel 2006 se non sbaglio.
Ero su Splinder e c'era una bella combricola: mi divertivo da matti. Avevo 16-17 anni, ma non mi ricordo esattamente perché cominciai. All'epoca non avevo nemmeno una connessione internet tutta mia e dovevo andare nello studio di papà e scroccargli il cavo ethernet quando era a lavoro. E forse fu per quello, che quando cominciai a usare msn, perché il mio fidanzatino era dall'altro capo dell'Italia (e i presupposti mostrano molto esplicitamente il mio futuro attuale da single cronica), rimasi estremamente affascinata da un sito trovato per caso, che solo dopo scoprii che si chiamava BLOG. Figata! Mio.
Avevo 16-17 anni. Era il blog di un'adolescente, cosa volete che ci scrivessi? Lamentele, cose tanto tristi, nessuno mi capisce e bla bla bla... dite che non è cambiato? Ma no, dai. Per lo meno la forma si è evoluta.

Ad ogni modo, pare che ora come ora i blog/diario non vadano più di moda, mentre quelli tecnici, quelli How It's Made continuano imperterriti a fare proseliti. Io in primis: non potrei vivere senza. Ma la ragione è presto detta. Che senso ha sbattersi ed elaborare un pensiero coerente in un tot. di frasi di senso compiuto, con tanto di congiunzioni e subordinate quando ci sono i social network che fungono da diario personale in molte molte meno parole e molta molta meno fatica?
Di conseguenza l'interesse per questo tipo di blog è venuto meno, tanto che ora qui sento l'eco: mi sembra di parlare da sola. Qualcuno mi ascolta, ma nessuno parla. Ma vi voglio ringraziare, perché non c'è sicuro il rischio di montarsi la testa. Sarò sempre la stessa ragazza del Bronx. Yò!

E allora cosa succede? Come funziona? Vedo e sento di consigli per diventare youtuber primariamente, ma sempre validi anche per i blog e dicono più o meno le stesse cose: mettetevi in gioco e mostrate al mondo la vostra passione, quello che sapete fare meglio, siate creativi, divertitevi, ingegnatevi.
Consiglio che dice tutto e niente, imho.
E' che devi quasi essere un esperto di marketing per destreggiarti. Flickr, Twitter, Tumblr, Facebook, LinkedIn... prendo una laurea e torno. Ok?
Davvero, pur passandoci tanto tempo non li so usare per davvero, in maniera utile intendo. Le dinamiche socio-tecnologiche vanno conosciute per un loro utilizzo finalizzato a.

Poi capito per caso su questo articolo di Girl Geek Life (che, tVa paVentesi, adoVo), che mi parla di calendario editoriale. Calendario editoriale?!? Per un blog?!? Io poi, che mi piscio addosso, come i cani che si emozionano, quando sento questi termini (sono malata di terminologia imprenditoriale, non so che dirvi),  penso: non ci avevo mai pensato, ma che figata!
E poi lo stallo.
E mò?!? Di che parlo?!?
Perché voglio un blog?
A che mi serve? Mi serve?
Perché voglio che la gente mi legga?
Diventerà un lavoro a tempo pieno non retribuito, lo so già...

E quindi sono ancora qui a sentire l'eco della mia voce. E' come essere su in montagna senza esserci davvero. Fico, eh?

UPDATE:
- Ho trovato questo post sul blog di Marco Freccero, che parla di blog. Bello e condivisibile. Lo so, tra il dire e in fare c'è di mezzo il mare, ma intanto cominciare a capire un paio di concetti chiave non è male.

mercoledì 12 ottobre 2011

Qual è il momento della giornata che preferisci?

Quello in cui cominciano ad accendersi i lampioni e il sole è dietro le montagne, ma riesce ancora a illuminare tutto con la sua forza. Quello in cui tutto sembra attenuarsi, le luci, i suoni, i colori e i profumi.




E' quello il momento in cui mi sento libera.

domenica 9 ottobre 2011

L'attesa, la vita, il ricordo.

L'attesa. 
L'attesa di entrare in scena. L'attesa di calcare quel palco e farlo tuo.
E ogni volta la domanda torna a tormentarti: "Ma perché?" Ed è precisamente la domanda che ti perseguiterà sempre come in un eterno ritorno in ogni ambito della vita. Già, PERCHE'? 
Perché proprio io? 
Perché non posso essere una di quelle persone che spensierate se ne vanno a fare lunghe corse in bicicletta nei campi? 
Perché devo stare qui con le budella che si contorcono a cercare di sciogliere la lingua impastata per l'ansia?
Perché devo sentirmi in bilico sul ciglio della mia sanità mentale ogni volta? Farcela o non farcela: questo è il dilemma. 
E poi niente... in un attimo di lucidità, ti ricordi alcune cose fondamentali: che tu in fondo non ci vai mai in bicicletta; che se bevi e fai gli esercizi la lingua si scioglie; e che il dilemma non esiste perché l'unica cosa che ti è concesso fare, quando ormai sei lì, dietro le quinte, con il sipario chiuso e il brusio del pubblico che comincia a prendere posto, è andare avanti: la marcia indietro non esiste, non è contemplata nel piano. E tu lo sai. L'unica cosa da fare è respirare profondamente con il diaframma, cercando di non andare in iperventilazione, e ricordarsi che quelle persone, dietro al sipario lì con te, che ti hanno accompagnata fino adesso, hanno le tue medesime priorità: non fallire. E l'unico metodo per esorcizzare la paura è un grande e intenso abbraccio di gruppo: siamo lì per sostenerci a vicenda qualsiasi cosa accada.
E allora perché?
Beh, perché affettuosamente amo definirci degli egocentrici del cazzo, che non si permettono di esserlo nella vita reale ma che sublimano - direbbe Freud - in questa maniera sublime. E scusate il gioco di parole.
Il teatro siamo noi, il teatro è la stessa aria che respiriamo, il teatro è la vita. Avete mai fatto caso a come il teatro si presti a moltissime similitudini con la vita reale? Io sì, ed è una cosa incredibilmente impressionante.

E poi il sipario si apre. Silenzio. Attesa. Luci in faccia. E parti come se non avessi fatto altro in vita tua. Risate. Applausi a scena aperta. Risate. Tardone che commentano gli uomini in scena. Ancora risate. Ultima scena. Già?!? Non è possibile. Monologo finale. Inchino. Applausi. The courtains fall

Vorrei avere delle piccole scatoline per contenere le emozioni che provo ogni volta: non dimenticarle mai, tenerle lì e riguardarmele di tanto in tanto, nasconderle dalla corruzione inesorabile delle cose, tenerle vive sempre.
E invece ora sono passate precisamente 24 ore e a me sembra sia passato un mese intero. Ma non credo dimenticherò mai l'emozione di aver ricevuto in prima persona un applauso a scena aperta. 

Vi voglio bene ragazzi.
Spacchiamo di brutto.


Backstage.

lunedì 3 ottobre 2011

Just a man... a successful man #2

Come preannunciato eoni fa, volevo parlarvi del signor Honda tornando così a raccontare storie di uomini che ora, grazie al loro grande successo, sono stati mitizzati, ma che in fondo sono uomini come tutti. Allora cosa li rende così diversi?

Una delle storie storie di persone di grande successo che preferisco è quella di Soichiro Honda, fondatore della società che porta il suo nome. Come tutte le aziende, non importa quanto grandi, la Honda Corporation è iniziata con una decisione e un forte desiderio di produrre un risultato.
Nel 1938, quando andava ancora a scuola, Soichiro Honda prese tutto quello che possedeva e lo investì in un piccolo laboratorio dove cominciò a elaborare una sua idea di anello elastico. Voleva vendere la sua opera alla Toyota Corporation, perciò lavorava giorno e notte,  immerso nel grasso fino ai gomiti, dormendo in officina, sempre convinto di poter raggiungere un risultato. Per restare in affari impegnò perfino i gioielli della moglie. Ma quando finalmente riuscì a fabbricare i suoi anelli elastici e li offrì alla Toyota, gli dissero che non si adattavano agli standar dell'azienda. Dovette perciò tornare a scuola, dove gli toccò sopportare le risate ironiche degli insegnanti e dei compagni quando parlavano dei suoi assurdi progetti.
Ma, invece di soffermarsi sul lato spiacevole di quell'esperienza, Honda decise di continuare a concentrarsi sul suo obiettivo. E infine, dopo altri due anni, la Toyota offrì a Soichiro Honda il contratto che lui sognava. La sua passione e la sua costanza erano state premiate perché Honda sapeva quello che voleva, aveva agito, aveva notato che cosa non funzionava e aveva continuato a cambiare approccio, finché non aveva avuto quello che voleva. A questo punto, però, dovette affrontare un altro problema.